Andrea Rocchi
“L’Arte, nel caso specifico di Marco Greppi, è come un polpo incantante
ed avvolgente, carico di inchiostri di svariati colori, che vengono sputati
fuori al primo ‘lampo di genio’ disegnando beltà in un abisso; le sue
atmosfere, le sue tinte, le sue linee vaporose ed evanescenti lasciano spesso
molto spazio alla libera interpretazione (o forse sarebbe meglio dire
‘focalizzazione’) dell’osservatore, alla capricciosità dell’occhio soggettivo
di chi si sofferma; non certo perché manchi un chiaro punto di partenza, quanto
piuttosto per non peccare di quella sorta di presunzione per mezzo della quale
molti artisti osano chiedere che, negli occhi e nell’animo altrui, la loro arte
venga captata, contemplata e vissuta medesimamente.
I soggetti di Greppi sono spontanei e ragionati al contempo, plasmati
in un anfratto contemplativo fatto di naturalezza e significato impresso resi
una cosa sola, stretti nella profondità dell’io e delle sue visioni, fra i
riverberi delle stoffe della sua sensibilità insolita e craterica, quasi
tattile. La sua è un’arte dall’atteggiamento umile e sincero, ma che esige
attenzione, apertura a farsi stupire. Essa richiama a sé quasi per sua intensità
peculiare gli sguardi più critici e sensibili. Ogni linea, ogni ombreggiatura o
punto di luce affiora in un silenzioso tornado di sfumature, di colpi di
carboni e di pennello, di tecniche personali, scoperte nella sperimentazione self-made,
che penetrano prima le di lui vene, quindi rigettando inesorabilmente tutto
questo liquoroso tormento fino alle punte delle dita, fino alle crine del
pennello, essenziandolo di una sanguignità rivelata sulla tela senza scrupolo
alcuno.
Una manipolazione a tratti brutale ma elegante delle risorse, della
fantasia e dell’esperienza, disinibite ma non esibite, forzate quanto più sia
inimmaginabile, ma non artificiosamente. Un’arte vissuta e i(n)spirata,
interpretata e poi estirpata fino all’ultimo atomo di ossigeno, fino
all’assopirsi dell’inquietudine, fino allo sfinimento della creazione che, in
fondo, non è altro che l’arte stessa, arte nell’accezione più nobile e
letterale, nella sua natura più pura e legittima: un perpetuo rigenerarsi, come
di strato di pelle lacerata, protetta, però, da intime ruvide croste, che
lasciano poi mano a mano il posto a delle cicatrici affascinanti.”
(A. Rocchi, pianista e compositore)